Racconto di Engin Akyürek dal n. 2
di Kafasına Göre - giugno/luglio 2015 -
"Le persone dicono che per vedere il mondo bisogna viaggiare. A
volte penso che se ti sedessi in silenzio e aprissi bene gli occhi, potresti
vedere tutto ciò che vuoi. "
Paul Auster
Le conversazioni intorno a un tavolo, il rimescolamento dei succhi gastrici
con la saliva e il danno alla percentuale inattiva del mio cervello,
causato dal suono scricchiolante della sedia di legno sotto il mio sedere, come
se stesse creando un trauma ai tessuti molli, erano lo spettacolo per
procura di un'atmosfera creata dal tempo. Il suo tentativo di piovere e di
voler rotolare giù per il pendio per bagnare l'intera umanità, era come il
contorcersi di un bambino piccolo che aveva bisogno di fare pipì. Per questo
motivo le strade e i viali erano pieni di gente ed era come se i marciapiedi
camminassero sulle persone. Per fortuna avevo trovato un tavolo e mi ero seduto
in un modo tale che il mio atteggiamento sembrava quello di un grande
comandante che voleva dichiarare la propria indipendenza: il mio corpo era di
per sé troppo espansionista per volere strutture feudali al suo interno e le
mie mani e le mie braccia erano abbastanza minacciose da colonizzare altri
continenti. Una sedia, posizionata all'improvviso dal cameriere, avrebbe potuto fare di me un lontano parente sudato e stanco di aspettare davanti ai luoghi in cui sarei andato a occhi aperti. A proposito… non sto ancora
riuscendo a stabilire un contatto visivo con il cameriere.
Mi trovo in un luogo pieno di gente e quando c'è molta gente, si vorrebbe essere qualcos'altro. Io cosa voglio? Nel tempo di un bicchiere di tè, vorrei
alzarmi in volo come un gabbiano, guardare tutto dall'alto e andare nei luoghi dei miei
sogni. In realtà, vorrei essere un gabbiano: come gli occhi di un gabbiano in
cerca di qualcosa, vorrei scendere in altre terre come si conviene a un eroe
delle fiabe e recitare le mie favole preferite, inalando l'odore dei luoghi in
cui sono atterrato. Voglio troppo? Stare seduto a un tavolo e voler bere il tè
mi sembra lo stato più innocente dell'essere umano e non mi piace lo sfondo
nero che cade sulle mie palpebre quando alzo gli occhi. Guardando le persone,
il tempo e soprattutto quei gabbiani di cui sono geloso, vorrei scoprire nuovi
continenti che nessuno conosce e fare in modo che il loro nome fosse associato
a me, anche comportandomi con arroganza… Il vedere sembra il dispositivo
tecnologico più primitivo accanto ai miei sentimenti e ai miei sogni. La
sinfonia creata dai tavoli, le persone che non si ascoltano, le loro mani che
si accoppiano con i telefoni, i corpi che fanno l'amore con i loro telefoni
touch come se avessero ricevuto la notizia più importante del mondo e le teste
che distruggono i comportamenti umani più primitivi, con una teoria che non so
spiegare… Quando ci si siede a un tavolo, soprattutto quando non si riesce a
stabilire un contatto visivo con il cameriere, si ha voglia di dire qualcosa su
tutto, soprattutto su quello che viene detto al tavolo accanto…
Tuttavia, mi sono seduto al tavolo che avevo costruito con le pareti della
mia mente e stavo per bere il mio tè, e sebbene per un po' le conversazioni al
tavolo accanto non avessero creato una risposta nel mio essere, la mia
esistenza, sconfitta dalla debolezza dell’essere umano, cercava di prendere
posto tra le frasi pronunciate tra i tavoli, come se si fosse staccata dalle
piume bianche di un gabbiano. Quando una persona traccia i propri confini, vuole curarsi di ciò che ha intorno in modo sfacciato e io intanto non riesco ancora a stabilire un
contatto visivo con il cameriere. Mi voltava sempre le spalle e mi chiedeva di
salutarlo con la schiena, come se quando avesse stabilito un contatto visivo
con me, gli avessi fatto scrivere le parole più oscene sul conto, che io
pensavo fosse scritto per essere letto al momento. Le persone raccolte intorno
al tavolo avevano così tanto da dirsi che se avessi fatto qualcosa di pazzo adesso,
se fossi salito sul tavolo, spruzzando saliva nell’aria con il fiato, chiedendo
a tutti di aprire gli occhi e di andare in posti di cui non conoscono nemmeno
il nome, mi domando quanti anni mi sarebbero serviti per scomparire dai loro
sguardi e dai loro giudizi... Come i gabbiani cercano il mare, ognuno potrebbe
guardare il cielo in cerca del proprio gabbiano.
Mentre pensavo a queste cose, non sapevo a che angolazione fossero le
lancette delle ore e dei minuti e avevo già perso ogni speranza nel cameriere.
L’incapacità di incontrare i suoi occhi si era trasformata in una tragedia che
doveva essere raccontata. Se avessi agitato le mani, sarei riuscito a far
apparire un tè forte negli occhi del cameriere, che stava evitando di
guardarmi?
…agitare le mie braccia doveva aver attirato così tanto la sua attenzione
che mi stava guardando, come se lo stesse facendo da anni…
Agitando il foglietto che aveva in mano, in modo semplice e chiaro, mi
dice: "Ecco a lei". Lo guardo con gli occhi e poi passo la lingua
sulla saliva che si era accumulata all'angolo della mia bocca, come per
rimproverarlo di essere così chiaro e semplice. Gli rispondo "Un tè"
senza disturbare l'atmosfera ufficiale creata da lui.
Prima che potessi raccontargli della relazione che avevamo avuto quando non
riuscivamo a guardarci negli occhi lui, distogliendo lo sguardo e piegando il
foglio che aveva in mano, imitando i gesti che fanno le persone importanti, mi
dice "Abbiamo finito il tè" e se ne va.
Mentre riflettevo se aprire gli occhi e rimandare dentro di me il sogno di
vivere un momento letterario, con le lettere che si impigliavano tra la lingua
e le labbra, su un foglio bianco ho scritto: "Immagino che sia molto
facile bere il tè ed essere geloso dei gabbiani… La parte più difficile è
essere umani…".
Engin
Akyürek
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