CEHENNEM - L'INFERNO

Copertina di Kafasına Göre per il racconto di Engin Akyürek intitolato Cehennem - L'inferno

Racconto di Engin Akyürek dal n. 55 di Kafasına Göre - marzo/aprile 2024 - 


Dedicato a Eros...

Mordendo la terra dalle radici profonde, l’escavatore strappò tutta la vegetazione, la sollevò in aria e, tenendola in bocca come se la stesse masticando, la trasformò in un mucchio di terra e la sputò in un angolo. Questo piccolo pezzo di terra, che era l'unico giardino, il parco giochi e il rifugio per i gatti del quartiere, che lasciava scorrere il vento attraverso le strade e dove tutti gli esseri viventi potevano respirare, si stava trasformando in un cumulo di cemento e stava diventando vittima del profitto. Questo pezzo di terra appartenente al signor Hakkı, nonostante tutte le obiezioni e le lamentele, stava esalando l'ultimo respiro tra i denti dell’escavatore. Gli abitanti del quartiere raccolsero firme e si recarono ovunque con cartelli ufficiali per protestare, ma il risultato fu che il signor Hakkı non riuscì a superare la sua testardaggine e la sua avidità. Il signor Hakkı non aveva bisogno della costruzione di questo edificio, né aveva il tempo o la capacità di godere di tutte le opportunità di cui disponeva. L'avarizia del signor Hakkı era così aderente al suo corpo che qualsiasi abito fatto su misura che avesse indossato, sarebbe stato invisibile. Pensava che sarebbe stato sempre più felice con l'aumentare degli zeri del denaro nella sua cassaforte e credeva che il denaro dovesse essere utilizzato per acquisire ricchezza, non per essere speso.

Nessuno sapeva quante proprietà avesse: i suoi tre figli, le tre nuore, l'anziana moglie e i nove nipoti si accontentavano delle briciole della sua ricchezza. Le parole che uscivano dalla bocca del signor Hakkı erano ordini: quando prendeva una decisione, anche se era sbagliata, per ripicca non faceva mai un passo indietro e non ammetteva mai il suo errore.

Senza avere l'autorizzazione urbanistica, decise di costruire un edificio di otto piani sul suo terreno, così si era occupato di tutti i permessi, i documenti e di tutto quello che era necessario. Non gli era importato delle firme raccolte nel quartiere, delle ribellioni, delle voci che si alzavano; per coloro che raccoglievano le firme diceva:

"Faranno rumore per un giorno o due, se ne dimenticheranno il terzo giorno e tra una settimana chiederanno i prezzi delle case".

Non si sbagliava, prima era sempre stato così. Coloro che avevano gridato e urlato, erano venuti a vivere senza vergogna nelle case da lui costruite illegalmente. Era un esperto del genere umano: avrebbe saputo dire da dove veniva un uomo, finanche da quale città, dal modo in cui camminava e avrebbe convinto chiunque grazie al suo campanilismo. Era un esperto venditore, un cacciatore di denaro, un avaro senza umanità… Il suo corpo era grande, ma dentro era piccolo piccolo a causa dell'avarizia e del non voler condividere. Il suo viso era pallido e i suoi occhi facevano paura come gli scantinati bui.

Mentre l’escavatore scavava nel terreno, i gatti che vivevano lì da molto tempo si dispersero, non sapendo cosa fare. Passarono la notte sotto le auto e nei portoni dei condomini. L'esistenza dei gatti era più antica di qualsiasi altro abitante del quartiere: è stato impossibile non immaginare che vivessero in quell'area da centinaia di anni, trovando i loro nonni e i loro antenati. Ma poiché avevamo ristretto gli spazi vitali pensando che questo mondo appartenesse solo a noi, stavamo pensando che un giardino fosse troppo per loro. I gatti si dispersero così in altre strade e i gattini appena nati furono lasciati sotto le finestre nelle scatole di cartone. 

I gatti, la cui organizzazione era stata messa sottosopra, parlavano tra loro tutto il giorno, dimostrando di essere alla ricerca di una soluzione. Intanto le fondamenta dell'edificio cominciarono a emergere, man mano che l’escavatore scavava e la terra veniva spostata.

Ogni mattina, il signor Hakkı osservava il terreno che l’escavatore stava mordendo, come se stesse guardando un'opera d'arte. Univa le mani dietro la schiena, le appoggiava sulla curva del sedere e calcolava il profitto che avrebbe ottenuto per ogni piano. Più profitto calcolava, più aumentava il suo buon umore, come se ciò lo avesse reso felice, e più schioccava le mani sul sedere, come in un gioco. I gatti erano preoccupati, il vicinato era disperato e i denti dell’escavatore erano crudeli come il signor Hakkı. Quando uno dei gattini nelle scatole di cartone morì di freddo, le lamentele degli abitanti del quartiere iniziarono ad aumentare. Il signor Hakkı osservava la situazione da lontano; per lui, terminare il mucchio di cemento di otto piani era una questione d'onore.

Anche se il sindaco e le personalità più importanti e altolocate della città in giacca e cravatta avevano cercato di convincere il signor Hakkı, ma era stato inutile. Lo stato dei gatti e il conseguente sfogo venivano condivisi ogni giorno sui social media. Il signor Hakkı non era minimamente preoccupato dalla questione del profitto e di coloro che avevano raccolto le firme, ma la questione del gattino morto era cresciuta sui social media. Il signor Hakkı era un uomo all'antica, ma sapeva benissimo da dove sarebbe venuto il pericolo. Sui social media si stava parlando molto dei gatti rimasti senza casa. Il signor Hakkı si appoggiò alla lunga poltrona di pelle del suo ufficio e, pensando nervosamente, sussurrò in tono confidenziale al figlio maggiore Mahmut:

"Questi gatti creeranno problemi".

Mahmut capì subito le intenzioni del padre. Se suo padre era un esperto del genere umano, lo era anche lui del signor Hakkı...

"Va bene papà, porterò con me due o tre persone e, quando farà scuro, radunerò i gatti e li butterò fuori dalla città".

Un sorriso cupo apparve sul volto del signor Hakkı:

"Non farlo con estranei, porta con te i tuoi fratelli, non si sa mai".

"Non preoccuparti, papà".

Mahmut portò con sé i fratelli Şakir e Hamza e, nel buio della notte, gettarono nel camioncino prima i gattini nelle scatole di cartone e poi tutti i gatti del quartiere, con il pretesto di dar loro da mangiare. Se i gatti avessero visto il signor Hakkı, non sarebbero caduti nell’inganno del cibo, ma non riconobbero i fratelli che non erano ben visibili nell’oscurità notturna.

Il camioncino si fermò in un luogo isolato, lontano dal centro della città.

Mahmut si rivolse ad Hamza senza aprire lo sportello del pianale del camion:

"Mi chiedo se dobbiamo avvelenarli, perché papà ci ucciderà se tornano".

Anche se la rabbia del signor Hakkı si abbatté per un attimo sul volto di Hamza, poiché lui era un uomo più coscienzioso disse:

"È peccato, non posso farlo abi, siamo lontani dalla città, come possono tornare?".

Mahmut si rivolse al fratello minore Şakir:

"E tu che dici?".

"È peccato abi: se hai intenzione di avvelenarli, io non lo farò, il peccato sarà tua responsabilità".

Mahmut aprì il pianale del camion e i gatti, spaventati, scomparvero nell'oscurità. I gattini nelle scatole di cartone e le loro madri indugiarono sul pianale. 

Mahmut guardò i gattini:

"Cosa faremo di questi rimasti?".

Hamza, sentendo gli sguardi dei gattini che gli toccavano la coscienza, disse:

"Troviamo una moschea e lasciamoli lì abi, qui moriranno".

Mahmut fece un respiro profondo e guardò l'orologio:

"Lasciamoli prima della chiamata alla preghiera del mattino, dai".

I gatti furono lasciati in un luogo isolato fuori città e i gattini in una moschea a settanta chilometri dal centro.

La notte si arrese al giorno. Il signor Hakkı si svegliò dal suo sonno inquieto e chiamò subito Mahmut:

"Avete risolto?".

"Nessun problema, papà".

Un sorriso che gli copriva tutta la bocca si posò sul volto scuro del signor Hakkı. Non ci sarebbe stata alcuna possibilità di interruzione dei lavori a causa dei gatti e le attività illegali sarebbero state comunque dimenticate. Si stava dirigendo verso il cantiere per controllare l'ultimo pezzo di terra che l’escavatore avrebbe rimosso per le fondamenta. Incrociò allegramente le mani sul sedere. Schioccava le mani come se stesse giocando in un’atmosfera scherzosa e muoveva i passi seguendo il ritmo dello schiocco. Quando si avvicinò al cantiere, lo schiocco delle mani si interruppe improvvisamente e le mani sul sedere si strinsero a pugno. I gatti stavano guardando tutti insieme la costruzione. Quando il signor Hakkı si avvicinò al cantiere, si rese conto che i gatti erano tornati. Anche i gattini erano lì, come se fossero scappati dalle scatole di cartone e si fossero messi in piedi. 

Il signor Hakkı chiamò con rabbia il figlio maggiore Mahmut:

"Dannazione, non vi avevo detto di lasciarli lontano?".

"Papà, sono altri gatti, li abbiamo lasciati troppo lontano, è impossibile che siano tornati".

"Che ne so, dannazione! Qui ci sono un sacco di gatti".

Mahmut stava sentendo la rabbia del padre nei timpani:

"Non preoccuparti, papà, manderemo via anche loro".

Il signor Hakkı iniziò a camminare verso i gatti che osservavano la costruzione, strizzando un occhio e cercando di capire se tra loro ci fosse un gatto familiare. Era impossibile che avessero percorso settanta chilometri in così poco tempo. I gatti in gruppo guardavano il signor Hakkı senza staccargli gli occhi di dosso, come se stessero cercando di dirgli qualcosa.

I gatti non stavano lasciando il cantiere nonostante la pressione di ruspe, bulldozer e camion. Il signor Hakkı temeva che la situazione si aggravasse e sapeva di non poter allontanare i gatti con un piccone e una pala. Stava a lui fare ciò che i suoi figli non sarebbero stati in grado di fare.

Si svegliò dal suo sonno inquieto e arrivò al cantiere a un'ora in cui tutti dormivano. I gatti erano all'interno della costruzione. Alcuni di loro dormivano, quelli che non dormivano si aggiravano come se fossero di guardia. Senza farsi vedere dai gatti, il signor Hakkı lasciò il cibo che aveva preparato nei contenitori lasciati dagli abitanti del quartiere. Sapeva di non piacere ai gatti e che non avrebbero mangiato il cibo se lo avessero visto.

Il signor Hakkı tornò a casa e dormì tranquillo. Al mattino, fu come se i gatti morti avessero costruito delle barricate intorno agli escavatori del cantiere. L'intero quartiere si era riunito e piangeva, perfino coloro che piangevano a dirotto non emettevano alcun suono, un silenzio profondo stava ferendo le coscienze.

Il signor Hakkı continuò la sua vita da dove l'aveva lasciata, il cemento fu gettato nelle fondamenta; le firme, le denunce e le cause intentate per i gatti morti non diedero alcun risultato. Il cemento delle fondamenta era stato posato, ma l'acqua usciva dalle profondità. Nonostante si fosse cercato di fermarla e drenarla, l'acqua sgorgava dalla sua fonte, sciogliendo il cemento e fermando la costruzione.

Ingegneri capisquadra e architetti andavano e venivano, ma non si riusciva a evitare che la sorgente d'acqua uscisse dalle fondamenta. Il signor Hakkı perdeva tempo e il denaro investito per la soluzione andava sprecato. La costruzione dell'edificio non procedeva e il signor Hakkı stava perdendo la salute guardando le fondamenta rimaste incompiute nell'acqua. Considerava l'impedimento dell'acqua una questione d'onore e per lo stress si stava strappando le dita delle mani strette a pugno.

Svegliatosi dal suo sonno agitato, il signor Hakkı stava per andare a vedere se l'acqua delle fondamenta si fosse fermata nel cuore della notte, ma i suoi piedi si sollevarono da terra e il suo corpo si accasciò sul bordo del letto, come se l'acqua fosse uscita dal terreno e lui fosse scivolato.

Il signor Hakkı ebbe un'emorragia cerebrale e furono le macchine, che andavano e venivano tra la vita e la morte, a decidere dove fermarsi.

Dopo un anno fu fatto uscire dall'ospedale e portato a casa. Rimase a letto senza più il piacere di vivere, guardando il vuoto senza reagire. Anche gli affari peggiorarono senza il signor Hakkı. I suoi figli avevano litigato tra loro e avevano venduto le proprietà. I beni erano spariti e le fondamenta della costruzione si erano trasformate in uno stagno per via dell’acqua. Il signor Hakkı, sdraiato sul letto come un filo d'erba secca, per la prima volta dopo due anni, emise un suono. L'anziana moglie non capì subito la fonte del suono, prima avvicinò l'orecchio al signor Hakkı, poi chiamò il nipote che stava giocando in casa:

"Vediamo cosa dice tuo nonno".

Anche il nipote accostò l'orecchio alle labbra del signor Hakkı:

"Sta dicendo psi psi".

"Cosa dice, cosa dice?".

"Sta dicendo psi psi…" (il verso per richiamare l'attenzione dei gatti, ndt).


                                                                                                                    Engin Akyürek


Note:
-tra i significati della parola “hak” vi è quello di “diritto”, quindi Hakkı (che è la forma possessiva di hak) pare non essere un nome scelto a caso: significando “il suo diritto” sembrerebbe che Engin abbia voluto sottolineare, anche con il nome, una persona che riteneva un suo diritto poter disporre di chiunque e di qualunque cosa.
-Eros è un gatto che è stato barbaramente ucciso a Istanbul all'inizio di quest'anno. Il suo assassino è stato arrestato ma, in sede di primo giudizio, ha ottenuto uno sconto di pena per buona condotta che ha indignato l'opinione pubblica e provocato proteste in tutto il Paese. La forte pressione provocata da queste proteste ha fatto sì che la prima sentenza sia stata annullata ma, purtroppo, ne è seguita una seconda la cui pena non è ancora stata ritenuta proporzionata al crimine commesso. Al momento della pubblicazione di questo racconto, la questione è ancora aperta… Eros è stato vittima della crudeltà dell'uomo e noi ci auguriamo che non debba esserlo anche della sua ingiustizia. Francesca e Silvia 


Commenti

  1. Il tema della cementificazione e dell'avarizia dell'uomo, la rivalsa della natura, la crudeltà verso gli animali, uniti alla scelta di un nome probabilmente non casuale e la dedica a Eros fanno di questo racconto un piccolo gioiello. Assolutamente da leggere.

    RispondiElimina
  2. Siamo completamente d'accordo con te! E grazie per aver voluto lasciare un commento 😀

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolare